mercoledì 14 dicembre 2016

L’AMARA VEDETTAVendicarsi funziona davvero?


Chi ha conosciuto il tradimento e la delusione ha conosciuto anche quell’ondata che chiamiamo desiderio di vendetta.

In alcuni casi può diventare un’ossessione per cui l’unico pensiero ricorrente nella giornata è pensare ai modi migliori per vendicarsi. L’idea è che l’altro debba provare  il dolore che abbiamo provato noi, magari con gli interessi.

La realtà è che questa spesso è un’utopia per molte ragioni:

non possiamo infatti entrare nella mente dell’altro e quindi non sapremmo mai realmente se sta soffrendo come noi vorremmo;

sebbene noi ci sentiamo giustificati nella nostra vendetta in quanto traditi , agli occhi degli altri in quel momento passiamo dalla parte dei  carnefici, anche perché spesso la vendetta non è consona all’azione che l’ha provocata ma viene adeguata al sentimento della persona offesa, arrivando quindi ad essere anche più cattiva del tradimento stesso.

Infine, ma è forse l’aspetto più importante, una volta consumata la vendetta la sensazione è tutt’altro che piacevole. Ci sembra di non averne avuta mai abbastanza, e rischiamo così di entrare in un circolo vizioso per cui più mi vendico più ho bisogno di rifarlo.

Il gioco sembra finire sempre in pareggio. Ancora non siamo i vincitori e non ci sentiamo mai tali.

Riporto quindi le, a mio avviso, illuminanti parole di G.Orwell:
                               
                               La vendetta è un’azione che si vorrebbe compiere quando e proprio perché si è impotenti;                           non appena questo sentimento di impotenza scompare,                          svanisce anche il desiderio di vendicarsi.

Dott.ssa Sabrina Trojani
www.studiopsicologiaverona.it 

venerdì 4 novembre 2016

FIDARSI E’ BENE, NON FIDARSI E’ MEGLIO?





Sempre più spesso mi capita di incontrare persone che, con un moto di orgoglio, ostentano la loro totale o parziale mancanza di fiducia verso gli altri.


E solitamente tale chiusura è il seguito di un tradimento o di una delusione che ci porta a classificare le persone come “tutte uguali” e quindi tutte non degne di fiducia. 


Questo scetticismo verso la sincerità altrui viene sentita e gestita come una corazza protettiva, ma come tutte le corazze occorre stare bene attenti al che non diventi una gabbia nella quale ci intrappoliamo.


“Il modo migliore per scoprire se ci si può fidare di qualcuno è di dargli fiducia”

Ernest Hemingway


Il primo aspetto da considerare è che quando permettiamo all’altro di ferirci non per forza significa che siamo dei “sempliciotti” che si sono fatti ingannare; piuttosto siamo stati in grado di essere delle persone forti e trasparenti di fronte a coloro che non sono stati in grado di esserlo.


Se la scottatura però ancora ci ferisce e ci rende sospettosi possiamo agire per gradi: apriamoci all’altro un pezzo per volta, testando ad ogni step se la fiducia è ben riposta. Ad ogni conferma o delusione sapremo che strada prendere.


“La fiducia si guadagna goccia a goccia ma si perde a litri”
Jean Paul Sartre


Dott.ssa Sabrina Trojani

sabato 29 ottobre 2016

PARTNER IDEALE O REALE?


La perfezione ha un grave difetto; 
ha la tendenza ad essere noiosa. 
William Somerset Maugham


Solitamente nella prima fase magica dell’innamoramento avviene lidealizzazione del partner

arriviamo quindi a non vederlo sempre per quello che realmente è ma gli attribuiamo qualità e virtù che noi vorremmo nella persona al nostro fianco.


E poiché anche l’altro è innamorato si impegnerà per non deludere le nostre aspettative, rispondendo il più possibile ai nostri desideri.

Questo dà un senso di appagamento e di protezione, resistendo a volte anche oltre le prove che smentiscono tali virtù. 
Ci sentiamo e ci comportiamo come se fossimo al fianco del nostro partner ideale.


Il tempo o un evento particolare però possono rompere tale credenza, costringendo la persona a ricostruire un nuovo equilibrio alla luce delle caratteristiche del compagno/a che da Ideale  diventa Reale.


E’ una fase delicata in cui le capacità comunicative divengono importantissime per lo stabilizzarsi del rapporto: 
spiegare anziché accusare, parlare in prima persona, dare l’esempio anziché pretendere sono solo alcune delle modalità con le quali due persone possono ricostruire un nuovo concetto di coppia alla luce della nuova realtà.

Quando in amore si cerca la perfezione, si trova la solitudine.
-Luca Bianchini-




Dott.ssa Sabrina Trojani

www.studiopsicologiaverona.it

venerdì 7 ottobre 2016

QUANDO UN AMORE FINISCE




 L'amore puro è quello non corrisposto 
 A.Morandotti



La fine di una storia d’amore è paragonabile ad un lutto.

Al pari del lutto infatti ci troviamo a fare i conti con l’assenza dell’altro e di tutto quello che condividevamo con lui.

Come nel lutto quindi la persona attraversa delle fasi considerate, dal punto di vista psicologico , assolutamente fisiologiche e normali: vi è quindi un primo momento di


  • negazione, durante il quale non abbiamo ancora piena consapevolezza di quello che è successo. Lo neghiamo a noi stessi e, a volte, mettiamo in atto delle azioni per riconquistare l’altro.



  • Se la riconquista non va a buon fine possiamo andare incontro a rabbia, verso l’altro ma anche verso noi stessi per non essere stati capaci di “tenerselo/a stretto/a”;




  • la disperazione è un altro stato che attraversiamo. Qui la dura realtà delle cose arriva come un fiume in piena alla coscienza e ci travolge con violenza; ci sentiamo senza via di uscita e guardare il futuro in questo momento diventa veramente impossibile.



Non esistono pozioni magiche per risparmiarsi questo dolore.Nessuno può soffrire al posto nostro.


Ci vuole abbastanza coraggio per lasciarsi andare alla negazione prima e alla rabbia e/o disperazione poi; se crediamo di non riuscire a farcela da soli un aiuto psicologico può essere la soluzione giusta.

In ogni caso occorre scendere negli abissi per poter poi risalire.

Lo stadio finale prevede la nostalgia di quella storia, nostalgia che ci culla e che portiamo dolcemente con noi ma che non ci farà più male.


Dott.ssa Sabrina Trojani


giovedì 29 settembre 2016

OLTRE LA TIMIDEZZA

COME INIZIARE UNA CONVERSAZIONE


Parla alla gente di sé stessa e ti starà a sentire per ore
Disraeli

Spesso nel mio studio lavoro con persone che presentano un problema di timidezza;
solitamente iniziamo cercando di capire qual è la paura sottostante, così ad esempio può esservi paura del giudizio, paura di sbagliare, paura del rifiuto e molte altre.


A questo punto si applicano delle tecniche specifiche per superare tali blocchi e gestire l’ansia che li accompagna ma può rimanere aperto il problema del non sapere come iniziare una conversazione.


Ecco alcune semplici indicazioni che ci vengono in aiuto:

1) FARE COMPLIMENTI

Uno dei modi migliori è sicuramente quello di iniziare con un complimento che, badate bene, affinchè sia realmente percepito come tale e non come una semplice adulazione fine a se stessa, occorre che sia sincero
Osservate un qualsiasi particolare che vi piaccia realmente della persona di fronte(o, se si tratta di una persona che conoscete, ripensate a quello che vi ha colpito di lei)  e cominciate da quello.


2) SORRIDETE

Ok, apparentemente una banalità eppure spesso ci sfugge a causa dell’ansia. Concentratevi sulle vostre labbra e mentre vi avvicinate all’altra persona sfoggiate un bel sorriso. Questo farà sì che la l’altro si senta fin da subito ben voluto


3) MOSTRATEVI INTERESSATI A QUELLO CHE L’ALTRO HA DA DIRE

Alle persone piace parlare di sé ma di rado trovano l’occasione per farlo; dategli l’opportunità di raccontarsi e quando sentite che state replicando con un “io” fermatevi un attimo e ritornate all'altro.
Solitamente accade che sarà poi l’altra persona a chiedere qualcosa di voi.


4) PREFERITE LE DOMANDE ALLE AFFERMAZIONI

Un modo per tenere accesa la conversazione è quella di fare domande perché una affermazione, per quanto bella e interessante, non richiede la presenza dell’altro che diventa invece necessaria davanti ad una domanda. E comunque sia, dopo una affermazione, la domanda “e tu cosa ne pensi?” vi può sempre salvare!


5) E QUANDO CALA IL SILENZIO …?

Ricominciate con le domande. Torniamo quindi al punto 4; offrite all’altro uno spunto specifico per continuare la conversazione con voi. 
Allenate la vostra curiosità verso gli altri.



Concludiamo con le parole di Dale Carnegie scritte nel bellissimo libro Come trattare gli altri e farseli amici:

Se il segreto fosse quello di adulare la gente sarebbe troppo facile e chiunque diventerebbe un esperto di relazioni sociali. Quando non siamo alle prese con qualche problema preciso di solito passiamo il novantacinque per centro del nostro tempo a pensare a noi stessi. Se riusciamo a smettere di pensare a noi stessi per il tempo sufficiente a mettere a fuoco anche i pregi altrui, non ci servirà affatto l’adulazione o la menzogna.”


Dott.ssa Sabrina Trojani


mercoledì 14 settembre 2016

LA DIFFERENZA TRA PAURA E ANSIA


Che differenza c’è tra  “paura” e “ansia”?


La prima è la percezione che  un evento, un animale o una persona siano minacciosi; questa percezione scatena l’emozione che a sua volta porta con sé una risposta fisiologica. 


L’ansia è appunto tale risposta che segue la paura; fino ad un certo livello l’ansia aiuta a superare o gestire la paura perché attiva l’organismo. 


Oltre tale livello (diverso per ognuno di noi) l’ansia diventa essa stessa il problema perché ci blocca o ci fa perdere il controllo di noi stessi.


Distinguere la paura dall'ansia è importante non tanto per un mero gioco letterario ma perché da questa distinzione si decide l’aspetto operativo dell’intervento: bloccare ad esempio i sintomi ansiosi con gli psicofarmaci non elimina la paura e anzi blocca quella reazione del nostro organismo che, semplicemente con una buona gestione, ci aiuterebbe, come abbiamo detto prima, a superare la paura.


Può succedere tuttavia che la conseguenza diventi causa e viceversa: è il caso degli attacchi di panico ad esempio dove le alterazioni del nostro organismo (tachicardia, respiro affannoso, sudorazione…) che chiamiamo ansia diventino fonte di paura perché la persona le interpreta appunto come minacciose, con la conseguente paura di impazzire o di morire.


E’ la così detta paura della paura di cui mi parlano molti pazienti. E’ il caso degli attacchi di panico.



L’intervento breve di stampo strategico è un intervento puramente psicologico, senza ricorso a farmaci, che permette di uscire dal circolo vizioso dell’ansia-paura-ansia, portando la persona ad affrontare quelli che per lei sono dei fantasmi da cui scappare. 


Dott.ssa Sabrina Trojani

martedì 30 agosto 2016

DIETA: EVITARE I CIBI NON AIUTA


Che cosa facciamo quando ci mettiamo a dieta o abbiamo paura di ingrassare?

Evitiamo alcuni cibi, non solo letteralmente ma anche mentalmente .


Ma tutti noi conosciamo l’esercizio dell’elefante bianco..se vi dico di non pensare ad un elefante bianco voi cosa fate?


Ecco appunto. Se ci ripetiamo che alcuni cibi è meglio non mangiarli corriamo il rischio che questi diventino un’ossessione; 
più cerchiamo di non pensarci e più ne abbiamo voglia

Così che, al primo momento di debolezza, recuperiamo le mangiate perdute, con gli interessi.



Tutto questo è stato ben espresso dal professor Giorgio Nardone nel concetto di “se te lo concedi puoi rinunciarvi, se non te lo concedi sarà irrinunciabile”: il segreto quindi consiste nel lasciarsi andare alla tentazione nelle giuste dosi.


Si può ad esempio scegliere qual è il pasto della giornata in cui i cibi proibiti sono più gustosi, e limitarsi a consumarli in quella circostanza; oppure scegliere con chi ci piace maggiormente consumarli, e farlo solo in compagnia di quella persona (ad esempio una pizza con il proprio partner).. ognuno può trovare l'autoinganno funzionale migliore per sé stesso. 


Ricordando sempre che la miglior prova del proprio autocontrollo non è quando non lo perdiamo mai (con il rischio di essere sempre lì per cadere), ma quando lo perdiamo e poi le recuperiamo.


Dott.ssa Sabrina Trojani



Letture consigliate:

La dieta paradossale – G.Nardone
Dieta o non dieta – L.Bergami, M.Bossi, F.Ongaro, P.L.Rossi, L.Speciani
Mangia, muoviti, Ama – G.Nardone , L. Speciani

mercoledì 24 agosto 2016

PERCHE’ UN TERREMOTO VICINO CI COLPISCE PIU’ DI UNA GUERRA LONTANA




Eventi catastrofici come quello appena successo, che ha colpito il centro Italia, spesso riaprono la questione di quanto spazio tali notizie trovino sui media del popolo colpito a discapito di altri equiparabili (o peggiori) eventi accaduti in altri Paesi.



Iniziamo con una constatazione che emerge dalle ricerche-intervento in ambito psicologico: la sofferenza è direttamente proporzionale alla vicinanza della stessa; non sembra cioè essere l’evento doloroso in sé a fare la differenza ma quanto vicino esso sia.


Se un dolore ci riguarda in prima persona perché siamo noi le vittime sarà molto più grande rispetto ad un dolore che riguarda un familiare lontano, un amico, un conoscente e a seguire.


Quando sui social network si grida allo scandalo perché una parte del mondo si mette in lutto solo se la catastrofe colpisce popoli vicini, dimentica la “regola” sopra descritta.


Più l’evento traumatico è lontano e meno “smuove” i nostri sentimenti; con molta probabilità questa reazione rientra in quegli schemi inconsci di sopravvivenza che l’essere umano non può controllare razionalmente. 
E’ più conveniente spendere energie per le persone più vicine che per quelle più lontane ed estranee alla nostra vita.


Qualcuno lo considera egoismo; psicologicamente è stato invece perfettamente definito dal professor Giorgio Nardone con il concetto di visione prospettica del dolore.


Dott.ssa Sabrina Trojani



giovedì 11 agosto 2016

UN CASO DIVERTENTE DI APPROCCIO ORIENTATO ALLA SOLUZIONE - 2







I responsabili della British Airways si trovarono in difficoltà quando lo staff tecnico di una loro divisione si rifiutò di utilizzare una nuova serie di computer per la registrazione dei dati.




Anzichè scontrarsi con i lavoratori o con il sindacato che li difendeva, un brillante manager posizionò il nuovo pc nel locale di riposo del personale dal quale i lavoratori potevano controllare la disponibilità di posti sui voli che la compagnia metteva in offerta per i propri dipendenti.


Lo staff iniziò in breve ad utilizzarlo; dopo due settimane il terminale fu rimosso, spiegando che sarebbe stato troppo costoso mettere ulteriormente a disposizione quel software solo per il tempo libero dei lavoratori. L'alternativa era cominciare ad utilizzarlo anche per lavoro se solo i sindacati non si fossero opposti.


Il risultato fu che il personale persuase il sindacato ad accettare i nuovi terminali sia per svago che per lavoro.


tratto dal libro "Punta alla soluzione" di P.Z. Jackson e M. McKergow

D.ssa Sabrina Trojani
studiopsicologiaverona.it

mercoledì 3 agosto 2016


3 SEMPLICI REGOLE PER NON PORTARSI 

             LO STRESS IN VACANZA

Essere in ferie non significa necessariamente avere la mente sgombra; spesso ci portiamo dietro problemi e pensieri con il rischio di tornare più affaticati di prima.

Ecco allora alcune semplici regole che possono aiutarci a "liberare" la mente:


1) CONCEDI AI TUOI TORMENTI UNO SPAZIO E UN TEMPO BEN DEFINITI:
    
più cerchiamo di scacciare i pensieri non voluti e più questi acquistano forza. 

Dobbiamo giocare al contrario; dedichiamo ogni giorno almeno 15 minuti, se possibile sempre alla stessa ora, a lasciare che i nostri "problemi" ci tormentino
Concentriamoci su di loro, facciamoci assalire dallo stress, passati i 15 minuti STOP .  
Rimandiamoli al giorno successivo e lasciamo trascorrere la giornata come viene.

Evitare di fare questo esercizio alla sera prima di coricarsi; meglio a metà giornata.


2) RICORDA DOVE SEI:

fermati e concentrati su quello che hai intorno: rumori, odori, colori.... Pensiamo una volta tanto al presente, non in senso filosofico, ma proprio in senso "fisico" : che cosa sto facendo in questo momento? Quali suoni sento? Quali profumi? Cosa avrei voglia di fare?


3) FAI QUALCOSA CHE NON HAI MAI FATTO O NON FAI DA MOLTO TEMPO:

questo sembra uno di quei buoni propositi che rimangono nel cassetto..succede quando la meta è troppo alta. Per poter seguire questa regola occorre scegliere la cosa più piccola che ci viene in mente: andare al cinema, assaggiare un piatto nuovo, visitare un luogo mai visto (va bene anche nella propria città), entrare in un negozio che non si conosceva...

BUONE VACANZE


Dott.ssa Sabrina Trojani



martedì 19 luglio 2016

Un caso “divertente” di approccio orientato alla soluzione - 1


Considerate quanto sia importante la sicurezza negli impianti chimici. 

Sappiamo tutti che, per legge, negli stabilimenti di questo tipo la ditta deve fornire attrezzature di sicurezza ai lavoratori, tra cui occhiali protettivi. 

Non sempre però vengono indossati. Sprezzo del pericolo e delle regole? Forse. 
Più in generale però capita che il passare del tempo e la maggior dimestichezza nel lavoro porti l’operaio a sottovalutare i rischi. 

Un giorno, in uno stabilimento chimico italiano qualcuno si chiese “Quando si verificherà che gli operai utlizzeranno gli occhiali protettivi, magari anche se non strettamente necessario alla vita del soggetto?” 
Risposta: quando l’occhiale sarà cool e di moda. Siamo italiani!!

Così l’azienda fece produrre occhiali di sicurezza con lenti a specchio. 
Risultato: i lavoratori iniziarono ad utilizzarli, anche al di fuori delle aree a rischio.

Cambiare il design ha portato ad un cambiamento di comportamento.


Dott.ssa Sabrina Trojani
www.studiopsicologiaverona.it


Tratto dal libro: “Punta alla soluzione” di Paul Z.Jacson e Mark McKergow

lunedì 4 luglio 2016


LIBERARSI IN TEMPI RAPIDI 
DALLA TRAPPOLA DEL PANICO






E' uscito l'ultimo libro del professor Giorgio Nardone, maestro di chi come me segue il modello di psicologia strategica breve.

Il termine "breve" associato ad un percorso di psicologia e psicoterapia lascia a volte perplessi, non solo il potenziale paziente, ma anche gli esperti del settore. Credo che in questo libro vi sia la dimostrazione che la brevità e l'efficacia sono possibili. Ancora di più lo dimostrano i numerosi casi che ogni giorno vengono trattati con successo dai terapeuti formati dal Centro di Terapia Breve Strategica di Arezzo.

Chi soffre del disturbo di attacchi di panico conosce alla perfezione quelle sensazioni che proprio il termine PANICO può spiegare bene; esso e nient'altro.

Pochi forse sanno che tale disturbo non si caratterizza solo per gli attacchi veri e propri; vivere anche solo nella paura che un attacco si presenti, senza sperimentarlo mai o sperimentandolo solo una volta, è anch'esso invalidante. La paura ci blocca, ci impedisce di fare quello che vorremmo, a volte ci intrappola in casa.

Uscirne è possibile, l'unico passo di coraggio che la persona deve fare è affidarsi ad uno psicologo o psicoterapeuta.

Dott.ssa Sabrina Trojani

www.studiopsicologiaverona.it

giovedì 16 giugno 2016

INNO AL PESSIMISMO


CONCEDERSI IL LUSSO DEL DOLORE




Il titolo appare strano; solitamente vengono proposte ricette per la felicità perenne e per il rinforzo dell’autostima. Ogni tanto però è bello (e lasciatemelo dire, salutare) andare contro corrente.

Ritengo infatti (prima di me, certo, lo hanno scritto persone più illustri) che alcuni dei problemi umani derivino proprio dalla ricerca spasmodica della felicità; come direbbe uno dei miei maestri Giorgio Nardone, la tentata soluzione diventa essa stessa il problema.
Più alto è il nostro sogno, più grande è l’illusione; direttamente proporzionale a questa può essere quindi la delusione.

Quali meccanismi attiviamo quando stiamo male? Solitamente lo sforzo nostro e di chi ci sta vicino è di “tirare su il morale”- nobile intento, certo, ma che provoca un effetto paradossale: più mi sforzo di stare meglio più sprofondo nel dolore.

Cosa dire allora dell’effetto placebo? Tale effetto funziona solo perché si tratta di un meccanismo involontario: sapere che il farmaco assunto non ha alcun principio attivo e sforzarsi in ogni caso di pensare che funzionerà non aiuterebbe nessuno.

I sostenitori della psicologia positiva tralasciano un elemento fondamentale: pensare in meglio funziona quando già ho ottenuto dei successi; in questo caso il pensiero positivo rinforza ciò che già ho sperimentato. Applicarlo però a situazioni di rabbia o dolore non fa altro che aumentare queste emozioni anziché diminuirle.

Molti conoscono il fenomeno della “profezia che si autorealizza”: un determinato evento si verifica solo perché è stato pensato (non è magia ma succede che la persona si comporta come se l’evento fosse già reale finendo così per realizzarlo essa stessa); forse pochi sanno però che questo fenomeno funziona molto più in negativo che in positivo – di nuovo infatti per ottenere il risultato positivo l’autoinganno deve essere inconsapevole.

Scherzandoci un po’: ci viene più facile attirare disgrazie che successi!

Dobbiamo concederci il tempo di stare male e di arrabbiarci; ciò che provoca più danno infatti non è il dolore di per sé ma la paura che abbiamo di esso. La cronaca ci riporta purtroppo ogni giorno episodi di violenza su donne compiuti da uomini incapaci di sopportare anche solo l’idea di stare male per amore.

Fa male vedere un bambino deluso e in lacrime; ma se gli concediamo ogni tanto il lusso di imparare a reggere anche queste emozioni un giorno ce ne sarà grato, probabilmente più per questa lezione che per le nostre consolazioni.

Dott.ssa Sabrina Trojani
www.studiopsicologiaverona.it



sabato 11 giugno 2016

 COME REALIZZARE UN GRANDE CAMBIAMENTO



Ad ognuno di noi è capitato, almeno una volta nella vita, di sentire il bisogno quasi immediato di rivoluzionare completamente la propria situazione (alcuni di noi sono ricchi di questi momenti, come fossimo dei collezionisti!).


Vi è l'idea di cambiare nazione, tipo di lavoro, stile di vita... anche cambiare completamente il proprio look non è così semplice come potrebbe sembrare (così come gli effetti di un cambio immagine non sono da sottovalutare).

Spesso però, ancora prima di iniziare, qualcosa ci demoralizza e ci impedisce di realizzare il nostro sogno.
Potrebbe essere la paura di non farcela, di non essere all'altezza o di sembrare sbagliati; poche volte pensiamo invece, più semplicemente, che un cambiamento radicale non è mai facile, non solo per noi ma con ogni probabilità per chiunque altro. Molte delle nostre azioni e dei nostri comportamenti sono diventati, a causa della loro ripetizione, delle abitudini che ci danno sicurezza (e forse pochi sanno che, dal punto di vista psicologico, anche comportamenti dolorosi o fastidiosi diventano, se reiterati, della abitudini dure a morire).

Qualcuno potrebbe obbiettare che alcuni grandi scopritori di strade nuove o persone che hanno “scombussolato” la loro quotidianità sembrano averlo fatto da un giorno all'altro, e che solo il loro coraggio spieghi tutto questo.
In realtà, nelle rivoluzioni più costruttive e durature, il cambiamento radicale è solo l'effetto finale di un precedente lavoro di “preparazione al salto”durante il quale si valutano vantaggi e svantaggi, potenzialità e limiti, imprevisti e punti fermi, risorse e difetti. D'altronde, come ci spiega il grande studioso Gregory Bateson “il rigore da solo è morte per asfissia, la creatività da sola è pura follia”.

Capito quindi che un grande cambiamento richiede sempre una grande preparazione rimane aperto il problema di come iniziare ...la prescrizione per riuscirvi è tanto banale quanto efficace: partire dal più piccolo e semplice cambiamento possibile. Di tutte le cose che vorremmo modificare prendiamo la più insignificante, la più facile da realizzare, la meno spaventosa e gli effetti non tarderanno ad arrivare. In psicologia strategica si dice che il piccolo cambiamento è come una palla di neve che una volta spinta con la minima forza necessaria inizierà a rotolare, aumentando sempre più di grandezza fino a diventare una valanga.

A tutti quelli che vorrebbero intraprendere un viaggio di cambiamento auguro di riuscire a trovare il primo gradino, la scala sarà poi la sua naturale conseguenza.


Senza dimenticare che: “il vero viaggio di scoperta non è vedere nuovi mondi ma cambiare occhi”( M.Proust).

Dott.ssa Sabrina Trojani
www.studiopsicologiaverona.it

domenica 29 maggio 2016

STALKING - GLI ERRORI DELLE VITTIME

Il termine deriva dall'inglese "to stalk" ossia perseguitare; è ciò che avviene tra molestatore e vittima la quale si sente come braccata e impotente.

Cosa porta alla costruzione di questo fenomeno?
Innanzitutto le motivazioni dello stalker il quale può essere o sentirsi:

- respinto/rifiutato
- offeso
- incompetente nello stabilire relazioni
- bisognoso di affetto
- deciso ad avere rapporti sessuali con la vittima

Può succedere allora che il persecutore si ossessioni all'idea di :

- recuperare il rapporto
- vendicarsi per un torto subito (reale o immaginario)
- iniziare una relazione ( di amicizia o amore) utilizzando anche l'aggressività vista la mancanza di
  competenze relazionali
- iniziare una relazione interpretando continuamente semplici segnali neutri o di gentilezza dell'altro
   come prova del suo interessamento
- cogliere di sorpesa la vittima per arrivare al rapporto fisico

L'AUTOINGANNO in cui lo stalker cade e che gli impedisce di vedere con chiarezza i feedback della vittima è il RIFIUTO DEL RIFIUTO – il rifiuto dello stalkerizzato è visto dallo stalker come qualcosa che non dipende dalla sua volontà e per questo si sente in diritto di continuare.

La TENTATA SOLUZIONE  della vittima allora può diventare a sua volta un elemento che anzichè bloccare lo stalker lo alimenta e lo rinforza
Infatti:

    alternare rifiuti e silenzi a contatti con il persecutore alimenta in lui ancora di più l'illusione, anche se le risposte della vittima sono orientate a chiudere la relazione. Ricordiamo infatti che lo stalker non coglie i segnali di rifiuto, si accorge solo che l'altro "ha risposto"
    cambiare abitudini di vita (finanche numero di telefono o abitazione) se, nei casi più estremi risulta necessario per la propria incolumità, fatto troppo presto rinforza il senso di potere del persecutore.

Vi è un ulteriore tentata soluzione della vittima, che coinvolge solo lei ma ugualmente inficia la vita e la serenità personale : cercare di non pensare.
Purtroppo la nostra mente funziona al contrario: più cerco di non pensare ad una cosa e più questa si fa viva nella mia testa.

Uno psicologo o uno psicoterapeuta aiutano la persona anche in questa dinamica, trovando strategie che possano permettere alla persona di riuassumere il controllo dei propri pensieri.

COME COMPORTARSI DI FRONTE AD UNA SITUAZIONE DI STALKING ?

La migliore strategia che la vittima dovrebbe adottare fin dai primi istanti è il blocco di tutte le comunicazioni con lo stalker. Non cedere alla tentazione di rispondergli, nemmeno per chiedergli di allontanarsi o di smetterla.

Vincere la vergogna e chiedere aiuto non solo ad amici e parenti che possono creare attorno a noi una rete "di protezione" (fanno eccezione i casi in cui avvertire persone a noi vicine li mette nella condizione di essere a loro volta a rischio – in questo caso rivolgersi direttamente alle forze dell'ordine) ma anche alle forze dell'ordine e a psicologi/psicoterapeuti che possano insegnare le strategie più adatte per la propria incolumità e per vincere la paura.

CI SONO CASI IMPREVEDIBILI?

Purtroppo sì, sebbene in percentuale minore ma vi sono casi in cui l'attacco avviene a sorpresa; in questi casi il percorso di sostengo psicologico avviene dopo il fatto, per aiutare la persona a superare il trauma.

LO STALKER PUO' ESSERE AIUTATO?

Se la persona riconosce il proprio stato di persecutore e decide di chiedere sostengo è possibile seguirlo in un percoso psicoterapeutico per uscire da quella che per lui è diventata un'ossessione.

Dott.ssa Sabrina Trojani


Bibliografia e fonti:

"Stalking" di Alessandra Barsotti e Giada Desideri ; Ponte alle Grazie 2011

CENTRI A CUI RIVOLGERSI

    Centro Antiviolenza Petra – comune di Verona
    www.casadelledonne-bs.it/elenco-centri-associazioni-antiviolenza/





BALLARE: IL CORPO SE LO MERITA


Sei stato selvaggio, un tempo. Non lasciarti addomesticare.(Isadora Duncan)
Risultati immagini per dance


Ieri ho partecipato ad un matrimonio.

 Alla fine della cena gli sposi hanno offerto agli invitati una serata musicale, con dj e spazio per poter ballare e scatenarsi.

Come spesso accade un gruppo di persone si è lanciata a suon di musica, un altro gruppo è rimasto spettatore, con le sedie rivolte alla pista da ballo. Ricerche neuropsicologiche hanno dimostrato che guardare una persona ballare è gratificante poiché nel cervello dello spettatore si attivano i così detti “neuroni specchio”: anche in chi guarda cioè si attiverebbero i medesimi neuroni motori attivati nel “ballerino”.

Poeticamente mi chiedo: e se anche il ballo fosse una sorta di istinto primordiale, al quale l’essere umano ha purtroppo in parte rinunciato per questioni di “imbarazzo sociale”? Di sicuro le danze tribali esistono da moltissimo tempo e servivano per esorcizzare le paure o per ingraziarsi gli dei.

Chi balla, e non mi riferisco solo ai professionisti, vi dirà che ballare fa bene. Non solo a livello fisico, ma anche mentale. Nel ballo (libero o tecnico) siamo in una dimensione in cui il nostro corpo esegue movimenti che non farebbe in nessun altro momento della vita, nemmeno quando facciamo altri sport – credo che il nostro fisico si meriti ogni tanto di uscire dagli schemi.

Molti si sentono bloccati perché si sentono imbranati o pensano di non avere il senso del ritmo…a queste persone avrei voglia di dare una consiglio prezioso: concedetevi il ballo almeno nella vostra intimità, chiusi in camera o in bagno con le cuffiette, magari davanti allo specchio – dopo aver sperimentato questa azione segreta per qualche settimana iscrivetevi ad un corso di ballo. Iniziate con i balli di gruppo….vi assicuro che la gente quando balla cambia, sempre in meglio.

Sarà questione di neurotrasmettitori, della musica….non lo so. Provare per credere.

Dott.ssa Sabrina Trojani