mercoledì 25 ottobre 2017

IMMAGINARSI OLTRE IL PROBLEMA





Nel mio lavoro ricorro spesso ad una domanda che “catapulta” la persona avanti nel futuro, in un ipotetico momento in cui il problema, che l’ha portata da me, fosse “magicamente scomparso”.

“Immagini che, per miracolo, i suoi problemi, che la fanno stare oggi qui con me, spariscano. Come cambierebbe la sua vita, cosa farebbe o penserebbe di diverso? Quali altre persone o luoghi frequenterebbe? Come si vestirebbe?...”

La persona reagisce, in prima battuta, con un sorriso e per un attimo riesce a vedersi “al di là del problema”. Successivamente ci si rende conto però che non è così semplice immaginarsi liberi dalla difficoltà, come se questa si fosse in qualche modo agganciata alle abitudini nel quotidiano; perciò non è così facile lasciarla andare, nemmeno con il pensiero.

Va detto inoltre che, in questo gioco di immaginazione, si può essere il più realisti possibile, anticipandosi quindi mentalmente anche i cambiamenti meno positivi che potrebbero avvenire se il problema scomparisse. 

E’ il motivo per cui , alla domanda sopra scritta, segue spesso la seguente
“e quali nuovi problemi  dovrebbe affrontare se quello di oggi svanisse?”

Niente infatti è scontato. Nel caso, ad esempio, della risoluzione di un problema di agorafobia, che magari ha portato la persona per molto tempo, a volte anni, ad uscire solo accompagnata da qualcuno di fiducia - ad esempio il proprio partner- l’equilibrio nella coppia cambia. La persona “malata”, risolto il problema, si ritrova autonoma, capace di affrontare da sola il mondo là fuori. L’accompagnatore non serve più. Deve ricostruire, insieme all’altro, il proprio ruolo nella coppia.

Questi ultimi cambiamenti, che la risoluzione del problema può innescare, vengono comunque affrontati nel lavoro psicologico, in una seconda tappa del percorso con il paziente.


Dr.sa Sabrina Trojani

Bibliografia
“Psicosoluzioni”, G.Nardone, Edizione RCS Superbur Benessere, a. 2000

martedì 17 ottobre 2017

IL CASO

LA SENSAZIONE DELL’OCCASIONE SPRECATA


Il rimpianto che gli uomini provano per il cattivo uso del tempo già vissuto non sempre li induce a fare un uso migliore di quello che ancora rimane loro da vivere. 
Jean de La Bruyère 



LUI :   “Sono arrabbiato. Per una volta che mia sorella si offre di occuparsi una giornata intera di mia mamma - sa, è malata, ha bisogno di assistenza quasi tutto il giorno-  e mia moglie è libera - niente lavoro, mestieri fatti – decido di portare mia moglie al cinema. Finalmente. 
Serata brutta, il film non ci è piaciuto, e in macchina abbiamo passato il viaggio a discutere. Probabilmente perchè siamo troppo stressati.
Mi sembra proprio un’occasione sprecata. E il mio stress aumenta.” 

IO:   “Quindi mi faccia capire. Lei attende che la fortuna sia  completamente dalla sua parte – sorella disponibile, moglie libera...- per uscire e passare una serata romantica. Siccome però la sfortuna sembra perseguitarla, il film si rivela brutto e sua moglie è in vena di discutere. 
E’ corretto?

LUI:   “Sì”

IO:   “Ci sono due elementi nel suo modo di organizzarsi il tempo libero: il primo, è l’attesa che tutto sia a suo favore. Il secondo è come, questo tempo, lo trascorre – in questo caso film più discussione. Secondo lei quale dei due elementi è in suo potere?”

LUI:   “Il secondo”

IO:     “Ne è certo? Ci pensi. Non può avere la certezza che il film sarà come si aspetta. Nè può prevedere ciò che dirà sua moglie;  e sì, purtroppo anche alle coppie migliori capita di discutere proprio durante un’uscita romantica. Ma la sua sensazione delle occasioni sprecate o perse è dovuta al fatto che attende che la fortuna di avere del tempo libero bussi alla sua porta. L’unico elemento veramente in suo potere è di chiedere a sua sorella più disponibilità – che potrà ovviamente ricambiare – o trovare qualcuno di fiducia disponibile per alcune ore, o ancora, aiutare sua moglie nelle faccende domestiche così da vederla meno affaccendata.  
Non tutte le serate libere saranno piacevoli come vorrebbe, ma avrà la possibilità di crearne altre e altre ancora.” 



Dr.sa Sabrina Trojani
www.studiopsicologiaverona.it 

sabato 7 ottobre 2017

DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO 

BASATO SUL PIACERE.


Quando la forza di volontà non basta.





 Nessun piacere è di per sé stesso un male: ma i mezzi per procurarsi certi piaceri arrecano molti più tormenti che piaceri.
Epicuro

Entriamo un po’ più nel dettaglio della seconda tra le sensazioni primarie che stiamo approfondendo (clicca qui per l’articolo sulla paura).

Solitamente il piacere è l’obiettivo di un percorso terapeutico; molte problematiche che i pazienti portano in seduta (ansia, paura, depressione, disturbi sessuali…) sono caratterizzate da una parziale o totale perdita di esso nella propria vita. 
Per questo, in un percorso psicologico di tipo Breve Strategico, dopo un’iniziale sblocco della sintomatologia, si dedica una parte finale (solitamente più lunga, ma con minore frequenza di sedute al mese) per riprendere quel piacere perduto.

Vi è però una categoria particolare di problematiche che il modello strategico classifica come Disturbo Ossessivo Compulsivo basato sul Piacere; si tratta di quelle compulsioni (azioni ripetute di cui la persona non riesce a fare a meno) che altri approcci definiscono come dipendenze (in assenza di sostanza).

Tra queste troviamo lo shopping compulsivo, alcune forme minori di autolesionismo (es. tricotillomania), la sindrome da vomiting. l'information overloading addiction, il gambling on-line, il trading on-line compulsivo, la chat dipendenza e il cyber-sex.

Ognuna verrà approfondita in un articolo dedicato, più in generale possiamo notare come, il comune denominatore di queste condotte sia proprio il piacere che la persona dichiara di provare (seppure temporaneo) e al quale non riesce a rinunciare. A differenza di una dipendenza da sostanza, quindi, non vi è astinenza, tolleranza o craving, piuttosto ad essere irrinunciabile è la rincorsa al benessere che queste azioni promettono.

Ciò che risulta disturbante per la persona in questi casi non è l’azione in sé ma le inevitabili conseguenze negative di questa, come la perdita eccessiva di denaro o l’allontanamento delle persone care.

Di nuovo, come per altri disturbi, il ricorso alla logica ordinaria che prevede, ad esempio, l’incitamento della forza di volontà, il calcolo matematico delle perdite in denaro o il rancore dei propri cari, non sembra sortire effetti a lungo termine. Lo sblocco delle compulsioni necessita di strategie nuove, già protocollate e  costantemente aggiornate dal Centro Di Terapia Breve Strategica di Arezzo.


Dr.ssa Sabrina Trojani



martedì 3 ottobre 2017

LA SINDROME DELLE PERSONE SENZA PAURA

L’IPOPROTEINOSI DI URBACH-WIETHE


La paura ti è utile. Il panico ti uccide


L’uomo è spinto, nel suo agire quotidiano, dalle sensazioni primarie. 

Qualsiasi tentativo di eliminare dalla propria vita una di queste è una battaglia persa in partenza; e, per di più, controproducente. Esse sono infatti il motore delle nostre scelte, più o meno consapevoli.


Scopriamo oggi la PAURA e il suo correlato fisiologico, l’ANSIA

Esiste una patologia estremamente rara chiamata ipoproteinosi di Urbach-Wiethe la quale presenta, tra gli altri sintomi, la calcificazione di una zona del cervello denominata “amigdala”, uno dei centri per la gestione delle emozioni, tra cui appunto la paura. 

Il malfunzionamento dell’amigdala comporta che la persona non provi più  timore davanti a stimoli che normalmente metterebbero in stato di allerta, o anche di panico, l’essere umano .

E’ il caso ad esempio di S.M., una quarantenne americana, la quale non mostrò alcun segno di paura durante una rapina a mano armata della quale fu vittima*.



Può sembrare allettante vivere senza paura, ma cosa comporta realmente?

Significherebbe ad esempio passare con il rosso, non avere i riflessi pronti nel caso qualcuno attenti alla nostra vita, o più semplicemente distruggere relazioni sociali perché non curanti del giudizio altrui.

Insomma, vivere senza paura comporterebbe mettersi in pericolo, fisicamente e socialmente.



Quando allora la paura diventa patologica?

Non condivido in pieno le diagnosi preconfezionati che mirano ad etichettare le persone; per questo motivo possiamo dire che la paura diventa patologica qual’ora rappresenti un ostacolo nel raggiungimento dei propri obiettivi. Vi sono casi in cui l’elemento disturbante è rappresentato dalla quantità, ossia l’intensità della paura, in altri casi dall’incongruenza tra stimolo e sensazione.



Facciamo degli esempi

Un esempio del primo caso (paura ad alta intensità)  è quello di un mio ex paziente, al quale la normale ansia da prestazione del parlare in pubblico saliva fino al panico. E’ arrivato ora a goderne in piccole dosi, lo stretto necessario che permette di essere vigili sulla propria prestazione ed evitare così brutte figure che il panico invece provocava.

Nel secondo caso troviamo le fobie specifiche (animali, cose, situazioni, rumori….) :  la persona è perfettamente consapevole dell’irrazionalità della propria paura ma questo non permette di superarla, bensì getta nello sconforto l’idea di avere “paura per niente”.

Una combinazione tra i due casi è chiaramente visibile nel disturbo da attacchi di panico, dove l’impossibilità di spiegare il perché dell'attacco (mancanza di stimolo minaccioso) si accompagna ad una paura ad alta intensità che la persona più cerca di controllare, meno ci riesce.



Esiste un limite di tempo massimo per imparare a eliminare o gestire le proprie paure?

No. Non è mai troppo tardi per liberarsi da alcune paure o imparare a gestire l’ansia; il modello breve strategico ci sta inoltre insegnando che sebbene queste sensazioni ci accompagnino da molto tempo, non necessariamente il lavoro su di esse dovrà essere lungo. 


Dr.ssa Sabrina Trojani


* sebbene sia tutt'oggi confermato il ruolo dell’amigdala nella gestione della paura, alcuni ricercatori sono riusciti a innescare una sensazione di panico in persone affette dalla sindrome di Urbach-Wiethe attraverso l’inalazione di alte percentuali di anidride carbonica.